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  • Greta

ORME SU UN'AUTO

Aggiornamento: 9 dic 2020

È da tempo che non fa mai buio, nemmeno nella notte delle notti, la più oscura delle più oscure, la coperta color dell’inchiostro che ricopre il mondo non è mai abbastanza. Le luci antropiche, di ogni colore o luminosità si potesse immaginare, abbagliano la Luna e le sue stelle che si ritraggono nel cosmo lasciandoci appena dei ricordi vaghi della loro cieca bellezza. Il vociare persistente degli uomini azzittisce i grilli e le cicale. Gufi e corvi diventano muti sotto le urla stridenti delle macchine che sfrecciano sull’asfalto. Un signore esce da un bar. Il tanfo di alcool che gli puzza addosso farebbe perdere l’olfatto ad un segugio. Si accende una sigaretta. La piccola fiamma esce dall’accendino e infuoca l’arma mortale che ha in mano, ma cessa subito si ardere consumandosi e cadendo a terra in piccoli ed insignificanti cumuli di cenere, abbastanza per sfamare una formica, se fossero state briciole di pane. Il fumo si mischia all’aria e intossica due ragazze che passavano di lì che cominciano a tossire. Si coprono la bocca con le sciarpe e si tappano il naso con due dita decorate da anelli e unghie finte. La macchina nera davanti a lui è una bella Ferrari nuova di zecca, lucida come uno specchio. I vetri sono così puri da poter essere usati come occhiali, non un graffio, un’ammaccatura. La felicità non la si compra, la si guadagna, ma l’uomo che si ritiene astuto compra ciò che dovrebbe portarlo ad essa, sbagliando, naturalmente. Quella macchina è “la felicità” del signore. Una figura scivola sontuosa sulla macchina, si accuccia, gira di scatto il capo mostrando due occhi grandi come palle da tennis gialli quanto due soli. Zampetta sul tergicristallo. I baffi ondulano piano come spighe di un bianco quasi trasparente. Lascia orme di polvere sulla macchina. L’uomo si accorge solo di quello, non della bella, quasi regale, figura misteriosa dinanzi a lui, ed inveisce contro il gatto. Quello abbassa le orecchie, si rigira. Il pelo è in piedi come sorretto da fili invisibili, la schiena inarcata in una posizione innaturale, le zampe pronte a darsi lo slancio per scappare, i denti appuntiti come i vampiri dell’orrido che tanto piace agli uomini. L’uomo prova a sferrargli un pugno, colpendo l’auto mentre l’animale scivolava tra le sue braccia e scavalcava agile un muro. La macchina presenta un grave solco, facilmente visibile. <<Dannato gatto!>> urla l’uomo, come fosse colpa della bestiola. Ma non era quella solo un auto? No, non lo era per lui, era la sua gioia, la sua unica gioia. Quel gatto non poteva, involontariamente, fargli capire che non lo era, dato che la felicità non è un bene materiale? No, perché l’uomo non ci pensa, anche se le stesse zampine che avevano lasciato orme di sporco sull’automobile erano anche quelle che avevano sorretto un animale in preda a morsi di fame, freddo, stanchezza, che volevano solo la freschezza di un vetro e non il bruciore dell’asfalto.

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