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  • Greta

PACE E FORNELLI

Andava a passo lento verso la porta della propria casa. Finita la scuola aveva avuto un leggero attacco di panico ed era quasi certa che avrebbe fatto meglio a dirigersi immediatamente dal Dottor Wyatt, ma ormai aveva le chiavi verde smeraldo infilate nella serratura del cancello metallico che delimitava il giardino della villetta familiare abitata già da tre anni solo da lei, il suo fratellino Théo e i suoi genitori. Era troppo tardi per tornare indietro. Definitivamente.


Suo padre era al lavoro e Théo, andando alle elementari, terminava le sue attività scolastiche alle quattro pomeridiane ogni giorno. Quindi solo la madre era in casa. “Fantastico” Pensò sconfitta April “Proprio con lei dovrò rimanere sola”. Non che avesse un cattivo rapporto con lei, ma detestava certi suoi comportamenti e, giusto la sera prima, aveva dato voce alle “lista di cose che non sopporto di mamma” tenuta fino ad allora segretamente ma indelebilmente scritta nel suo privatissimo diario infilato sotto al letto affinché nessuno si accorgesse della sua esistenza. Fino ad allora. I suoi genitori non avevano preso molto bene il discorso, soprattutto sua madre. Théo, invece, l’aveva appoggiata pienamente.


Gli anfibi appena acquistati per l’inverno, a causa della suola rigida, ticchettavano sul vialetto che troncava il rigoglioso giardino d’erba rigorosamente finta sino a congiungersi col portico. Tic tac, tic tac regolari ticchettii come i battiti accelerati del suo cuore in panico, ma con ECG inalterato. Si fermò prima di salire i tre poveri gradini che l’avrebbero definitivamente portata davanti alla massiccia porta di un legno antico dalle mille toppe con altrettanti differenti chiavi. Fece un respiro profondo trattenendo l’aria nei polmoni per quattro abbondanti secondi, come le aveva detto di fare il Dottor Wyatt.


Passò in mezzo alle due colonne di marmo ai bordi della minuta scala. Le aveva sempre paragonate alle Colonne di Ercole, a Gibilterra, Spagna. Quando le passavi, varcavi il confine di un mondo per andare all’altro. Un po’ come sorpassare il Muro di Berlino. Fuori da casa sua era comando americano. C’era la legge, sì, eccome se c’era, ma accompagnata dalla libertà di parola, di stampa e di pensiero. E si poteva bere la coca cola. Nel terreno dei Russi no. A casa sua, qualsivoglia bibita gassata, non si poteva neanche nominare. Il dittatore in questione era impersonato da sua madre o da suo padre (la cosa dipendeva molto da cosa ci fosse da risolvere).

La porta era aperta (non aperta nel senso spalancata, ma che non era chiusa a chiave) perciò non poteva tergiversare ancora. Si tolse le scarpe ed entrò nello sconfinato mondo sconosciuto oltre le Colonne d’Ercole che era la sola a conoscere.


Dopo il lungo e stretto corridoio le cui mura erano ornate del loro albero genealogico, che stava a simboleggiare l’importanza e la gloria portata e sperimentata dalla famiglia, voltò a sinistra trovando sua madre intenta a bruciare delle patate in forno. Punto tredici della lista segreta ma da poche ore prima conosciuta: non saluta mai quando entri (ma se ne accorgerà?). <<Ciao>> Disse titubante April. Sua madre continuò a far sbattere pentole di ogni tipo di qua e di là. April la conosceva abbastanza bene da capire che il suo comportamento stava a dire “va’ in camera tua, non ho neppure la forza di dirtelo. Testarda come un mulo che non capisci quando fai soffrire la gente”. O meglio: questo era quello che la ragazza pensava che la madre stesse pensando. Si sentì in colpa, dopotutto la sopportavano mattina e sera, le avevano dato da mangiare e non le avevano mai fatto mancare educazione o studio. Ma quella volta non se ne andò al piano superiore, nella sua ampia e luminosa camera da letto, a contemplare le dediche dei suoi compagni di classe alla fine della terza media. Ai suoi genitori non l’aveva mai confidato, aveva solo detto che nessuno aveva scritto nulla per lei. Mentiva. Avevano scritto eccome: “Addio Aprile!” “A te ho già salutato, ormai è Giugno!” “Mi aspetto di vederti ai bordi della strada!” eccetera eccetera eccetera. Erano crudeli, i suoi ex compagni di classe, punto e basta. Alla scuola primaria era capitato che una sua amica, Martha, fosse presa di mira per un po’. Le scrivevano sul banco cattiverie solo perché aveva qualche problema col cibo (che poi si scoprì non solo quello, ma anche una disfunzione all’apparato digestivo). Sua madre non aveva aspettato un secondo a convocare un’assemblea con docenti e genitori e, anche se il cambiamento era avvenuto immediatamente e solo una volta ogni tanto, ma ogni tanto tantissimo, qualche risatina sommessa emergeva dal fondo della classe, aveva comunque voluto farle cambiare scuola. I genitori di April no. Le avevano solo detto: “su’ April! Sono ragazzi!” ma lei sapeva che se fosse stata lei a prendere in giro qualcuno per il suo nome o perché andava dallo psicologo l’avrebbero appesa a un muro. Altro che “È solo una ragazzina” avrebbero detto! Sei abbastanza grande per capire che non si fa, con apprensione massima! Era il punto numero uno della “lista delle cose che accomunano gli adulti”: Non si ricordano di essere stati ragazzi e sono tremendamente incoerenti. Per quella lista e per la lista su sua madre prese una decisione: cancellarsele dalla testa. Perdonare tutto. <<Ti aiuto?>> Chiese a sua madre. Lei si voltò come se quella sull’uscio della cucina non fosse sua figlia ma qualcun altro. <<Come vuoi>> rispose facendo spallucce. Punto numero ventiquattro: non si capisce cosa pensi per davvero. E non era affatto neutralità, secondo April. La ragazza chiese cosa volesse preparare e la madre la guardò come dire “ma sul serio ti interessa?” e rispose una pizza margherita, dato che in frigo non c’era altro che gli ingredienti per farla e l’ultima spiaggia, le patate al forno, erano belle che andate. Prepararono il primo stato di farina per non far appiccicare l’impasto che, per essere preparato, doveva necessitare che una ciotola uscisse linda dalla lavastoviglie. Un po’ di polverina bianca sporcò il naso e gli occhiali della mamma di April. Lei credette che si sarebbe arrabbiata da morire e invece rise. Rise sul serio, non sarcasticamente battendo le mani ad una scemenza detta da Théo o nervosamente come quando per errore qualcuno entrava nella sua stanza durante una riunione di lavoro. April l’aveva già sentita quella risata. Quando il suo fratellino si era tuffato nel lago e si era giustificato dicendo di voler diventare un pesce, quando durante l’ultimo dell’anno dovevano girare dei tubi in modo da far scoppiare fuori dei coriadoli e nessuno dopo la fine del count down ci era riuscito e il fallimento era stato salvato in video, quando avevano letto insieme alcuni capitoli del secondo libro delle Leggi di Murphy. Sua madre propose di non aspettare ad usare una ciotola ma di prendere una pentola dal fondo alto. Si stupì, perché sua madre non era il tipo di persona creativa che dice cose del genere, lei usava ciò che aveva in mano per quello per cui era stato progettato, fine della storia. Si misero a preparare l’impasto della Pasta Madre in una pentola per la pasta. La mamma le raccontò che alla sua età sognava di diventare una cuoca, e aveva anche partecipato a un concorso al quale era fieramente arrivata prima a diciannove anni circa, ma poi i suoi genitori si erano categoricamente rifiutati di farle intraprendere un lavoro di “bassa lega”, come lo definivano loro, così l’avevano praticamente costretta a diventare insegnante. April si sorprese che, dopo un sogno infranto, riuscisse a tirare avanti così, ma non disse niente. Misero un po’ di sottofondo musicale e, semplicemente, nell’impastare si dimenticò di tutto. Della lite, delle liste, del Dottor Wyatt, delle patate bruciate in forno o di quanto fosse sporca di ingredienti che non avrebbero mai raggiunto la pentola e rise anche lei. Passarono il pomeriggio a sfamarsi assaggiando parti per la pizza crude, ballando Jazz e Blues e gareggiando a chi riusciva a portare più piatti contemporaneamente al tavolo da pranzo. Forse avrebbero dovuto indignarsi con il loro ego per non aver fatto nulla di decente per il pranzo oppure perché avrebbero dovuto pulire cucina, sala da pranzo e il tragitto tra le due stanze ma non lo fecero ed April si accorse di dover aggiungere la lista delle “cose fantastiche di mamma” il quale primo punto sarebbe indubbiamente stato: mi piace stare assieme a lei, soprattutto quando si cucina!

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